GESTALT E CONFINI: L’ARTE DI DIRE “IO” SENZA PERDERE IL “NOI”

In Gestalt, il confine non è un muro, né una barriera.
È il luogo del contatto.
È dove incontro l’altro e, nello stesso tempo, riconosco me stesso.
Come scriveva Fritz Perls:
“È al confine che nasce la consapevolezza.”
E Margherita Spagnuolo Lobb aggiunge:
“Il confine non separa: rende possibile l’incontro.”
Il tema dei confini è centrale nella vita relazionale, affettiva, professionale.
Quando i confini sono chiari, la persona sente forza, orientamento, libertà.
Quando sono confusi o rigidi, emergono:
- ansia
- dipendenza
- senso di vuoto
- conflitti
- difficoltà nei rapporti
- esaurimento emotivo
Comprendere i confini significa comprendere come ci muoviamo nelle relazioni.
Che cosa sono i confini in Gestalt
Il confine è il punto in cui “io” incontro “non-io”.
È una funzione, non una struttura:
si adatta, respira, cambia nel campo relazionale.
I confini definiscono:
- cosa sento
- cosa desidero
- cosa non voglio
- fin dove posso espandermi
- dove inizia lo spazio dell’altro
Non sono concetti: sono esperienze vissute.
I tre principali problemi di confine
Secondo la Gestalt, esistono tre grandi modalità disfunzionali:
1. Confini troppo rigidi
La persona si isola, teme il contatto, non si lascia influenzare.
Il mondo appare minaccioso.
Segni corporei tipici:
- spalle rigide
- mandibola serrata
- respirazione corta
2. Confini troppo permeabili
La persona si confonde con l’altro, perde intenzione e direzione.
È il terreno della confluenza.
Segni corporei:
- postura che imita l’altro
- difficoltà a stare fermi
- mancanza di tono muscolare
3. Confini confusi o fluttuanti
La persona oscilla tra eccessiva apertura ed eccessiva chiusura.
È il terreno dell’incertezza, spesso legato all’ansia.
Le interruzioni del contatto e il ruolo dei confini
Bruni, nel suo fondamentale Il confine di contatto, sottolinea come le interruzioni del contatto siano anche interruzioni del confine:
- Introiezione → confini imposti dall’esterno, non scelti
- Proiezione → confini sfocati: attribuisco fuori ciò che è dentro
- Retroflessione → confini invertiti: tratto me stesso come tratterei l’altro
- Deflessione → confini deviati: evito l’intensità
- Confluenza → confini dissolti: perdo il senso del mio sé
Il lavoro gestaltico non punta a correggere,
ma a
rendere consapevoli queste modalità, restituendo flessibilità al confine.
Come si formano i confini: una prospettiva esperienziale
I confini si formano:
- nelle prime relazioni
- nelle dinamiche familiari
- nei processi di adattamento infantile
- nelle esperienze di rifiuto e accoglienza
- nelle situazioni in cui mostrare se stessi era rischioso
Non sono scelte: sono strategie organismiche di sopravvivenza.
Clarkson ricorda che i confini sono sempre “funzionali”:
una volta ci hanno protetti,
poi diventano rigidi.
Lavoro gestaltico sui confini: un processo di presenza
Il counseling o coaching gestaltico esplora i confini attraverso:
- fenomenologia (cosa accade ora?)
- corpo (dove sento il confine?)
- relazione (come mi muovo verso l’altro?)
- linguaggio (le parole che uso rivelano confini?)
- sperimentazioni (amplificare un gesto, esplorare un passo, osservare una tensione)
Zinker definisce questo lavoro come
“espansione creativa della propria possibilità di contatto”.
Metafora gestaltica: Il Giardino delle Tre Porte
Immagina un giardino con tre porte:
- La porta sigillata: nessuno entra, nessuno esce.
Protezione totale, isolamento totale. - La porta spalancata: tutti entrano, anche ciò che non desideri.
Confluenza, invasione, perdita di sé. - La porta semiaperta:
decidi tu chi far entrare e quando.
Questo è il confine sano.
I confini non devono essere duri:
devono essere
vivi.
Esempio clinico
Cliente: “Mi sento svuotato dopo ogni incontro con le persone.”
Osservo:
- postura collassata
- respiro lento
- spalle che cadono verso l’interno
Gli chiedo:
“Cosa fai per proteggerti quando sei con gli altri?”
Risponde:
“Nulla. Cerco solo di essere come loro si aspettano.”
Qui emergono confini permeabili e confluenza.
Il lavoro diventa:
aiutarlo a sentire la sua presenza,
riconoscere il suo ritmo,
costruire una postura interna che gli permetta di sostenersi.
I confini non sono un’idea: sono un’esperienza corporea.
Bibliografia essenziale
Testi fondamentali sul contatto e sui confini
- Bruni, G. – Il confine di contatto, C.I.P.O.G., 2004
- Perls, Goodman, Hefferline – Teoria e pratica della Terapia della Gestalt, Astrolabio
- Fritz Perls – Qui e Ora, Sovera
- Polster E. e M. – Terapia della Gestalt Integrata, Giuffrè
- Wheeler, G. – Che cos’è la Terapia Gestaltica, Astrolabio
Counseling, fenomenologia e relazione d’aiuto
- Clarkson P. – Gestalt counseling, Sovera
- Simkin J.S. – Brevi lezioni di Gestalt, Borla
- Ginger S. e A. – La Gestalt. Terapia del “con-tatto” emotivo, Mediterranee
Processi di contatto e creatività
- Zinker, J. – Processi creativi in Psicoterapia della Gestalt, FrancoAngeli
Approcci integrativi coerenti
- Siegel, D. – Mindsight, Cortina
- Gendlin, E. – Focusing, Astrolabio
- Scharmer, O. – Teoria U, FrancoAngeli
Conclusione
I confini non sono una tecnica, né un comportamento da imparare.
Sono un modo di esistere.
Quando i confini sono vivi:
- il contatto diventa autentico
- le relazioni diventano sostenibili
- il sé diventa percepibile
- la presenza si rafforza
- l’ansia si riduce
- il desiderio si chiarifica
Dire “io” senza perdere il “noi” è un’arte.
Ed è l’essenza della Gestalt.
Approfondimenti
Articoli e riflessioni su Coaching, Counseling, Gestalt, Relazioni e Crescita personale: un invito a comprendere, scegliere e trasformarsi.































