CHE COS’È LA GESTALT


Quando si parla di “Gestalt”, molti pensano a una tecnica, una forma di terapia, un insieme di esercizi.


In realtà, la Gestalt è
un modo di stare nel mondo, una postura esistenziale, un’educazione alla presenza.

Fritz Perls diceva che il cuore della Gestalt è “lasciare che ciò che è, sia”.
Sembra semplice. Non lo è.
Perché implica
vedere ciò che accade dentro di sé, sentirlo, nominarlo e portarlo nel contatto con l’altro senza travestirlo.

È un modello che non analizza la vita: la vive mentre accade.

Per questo la Gestalt non è un approccio del passato.
È, più che mai, un approccio per questo tempo.


1. La Gestalt come esperienza più che come teoria


A differenza di molte scuole psicologiche nate su basi teoriche o interpretative, la Gestalt è nata dall’osservazione viva dell’esperienza.

Perls notava che quando una persona è portata nel presente:

  • vede meglio
  • sente di più
  • agisce con maggiore autenticità
  • trova soluzioni spontanee, non imposte
  • recupera energia

Goodman e Hefferline, co-fondatori, hanno definito la Gestalt come una “psicologia dell’atto”, non del concetto: ciò che conta non è ciò che pensi di essere, ma ciò che stai facendo e vivendo ora.

È ciò che in Theory U, molti anni dopo, Otto Scharmer avrebbe chiamato presencing: la capacità di restare presenti a sé stessi mentre si co-crea il futuro emergente.


2. Il Qui e Ora: lo spazio dove accade la trasformazione


Perls sosteneva che “la nevrosi è un passato non digerito”.
Ma la soluzione non è analizzare il passato.
È
riadattare il presente, renderlo vivo, consapevole, radicato.

Il qui e ora permette di:

  • interrompere automatismi
  • riconoscere bisogni reali
  • smettere di agire per paura
  • ascoltare emozioni autentiche
  • accedere a nuove possibilità

Non si tratta di negare il passato, ma di scoprire come vive oggi dentro di noi.
La Gestalt non “scava”:
mostra.

Gallwey avrebbe detto:
“Non serve combattere Self 1. Serve ascoltare Self 2.”
Ovvero: ascoltare la parte più profonda, non quella condizionata.


3. Il campo relazionale: siamo ciò che accade tra noi e il mondo


La Gestalt classica parlava di confine di contatto: il punto in cui io incontro il mondo.
La Gestalt contemporanea (Spagnuolo Lobb, Naranjo) parla di
campo:
non esiste un io separato, ma un processo in cui io e l’ambiente ci co-creiamo.

Questo rende la Gestalt estremamente moderna:

  • non patologizza
  • non separa individuo e contesto
  • non isola la persona dal suo ambiente
  • non cura “un sintomo”, ma una modalità di contatto

Spagnuolo Lobb descrive perfettamente questa visione:
“L’essere umano è un movimento di contatto, una danza tra il sentire interno e il mondo esterno.”


4. Il Ciclo di Contatto: la matrice fondamentale dell’esperienza umana

Uno dei contributi più importanti della Gestalt è il modello del Ciclo di Contatto, descritto da Perls, Goodman e Hefferline nel testo fondativo Gestalt Therapy e successivamente approfondito da autori come Spagnuolo Lobb e Zinker.

Il ciclo di contatto rappresenta il modo in cui l’essere umano entra in relazione con l’ambiente, riconosce un bisogno, lo porta alla consapevolezza, mobilita energia per soddisfarlo e infine integra l’esperienza.
È una mappa del funzionamento organismico, ma soprattutto una lente attraverso cui leggere ogni interazione significativa.

Le fasi principali sono:

  1. Sensazione – qualcosa emerge nel corpo prima che la mente lo nomini.
    È la fase più sottile: un disagio allo stomaco, un’apertura del petto, una tensione nelle mani.
  2. Consapevolezza – la sensazione prende forma, diventa figura.
    Dalla confusione emerge una direzione.
    Naranjo direbbe che la Gestalt “si configura”, prende senso.
  3. Mobilitazione – l’organismo prepara l’azione.
    Energia, desiderio, intenzione: è il momento in cui nasce il movimento verso l’ambiente.
  4. Azione – si entra in contatto con ciò che può soddisfare il bisogno.
    Non è soltanto un fare: è l’atto autentico, il gesto che rispecchia il sentire.
  5. Contatto pieno – l’incontro tra il proprio bisogno e l’ambiente.
    Spagnuolo Lobb parla di “vitalità nel confine”, quel momento in cui ci si sente vivi, presenti, sintonizzati.
  6. Ritiro e integrazione – l’esperienza si completa, lasciando un nuovo equilibrio interno.
    È la fase del riposo organismico, dove ciò che è accaduto trova posto nella memoria corporea.

Quando il ciclo procede fluidamente, la persona sperimenta vitalità, chiarezza, spontaneità, senso di pienezza.
Quando invece una fase si blocca o viene evitata, emergono:

  • ansia (blocco tra sensazione e consapevolezza)
  • confusione (consapevolezza incompleta)
  • procrastinazione (mobilitazione interrotta)
  • aggressività trattenuta (retroflessione)
  • dipendenza o fusione (confluenza)
  • distacco emotivo (deflessione)

In Gestalt, l’obiettivo non è “correggere il ciclo”,
ma
aumentare la consapevolezza dei punti in cui l’organismo si interrompe, riconoscendo che ogni interruzione è stata, in passato, un adattamento creativo che ha permesso alla persona di sopravvivere.

Il ciclo di contatto ci ricorda che la salute non è assenza di problemi,
ma
fluidità nel passare da una fase all’altra, seguendo il ritmo naturale dell’esperienza.


5. Il corpo come luogo della verità


James Kepner, pioniere del lavoro corporeo gestaltico, afferma che il corpo contiene la “memoria del nostro adattamento”.

La Gestalt lavora dove molti approcci non arrivano:

  • nel respiro trattenuto
  • nelle spalle che cedono
  • nella gola che si chiude
  • nello sguardo che sfugge
  • nei piedi che cercano stabilità

La mente può nascondere.
Il corpo no.

Per questo la Gestalt è un modello somatico ed esperienziale ante litteram, molto prima che le neuroscienze ne dimostrassero l’efficacia.


6. Le interruzioni del contatto: non difetti, ma adattamenti creativi


Perls definì cinque modi con cui il contatto si interrompe.
Non come patologie, ma come
strategie che un tempo ci hanno protetto:

  • Introiezione
  • Proiezione
  • Retroflessione
  • Deflessione
  • Confluenza

Nel momento in cui diventano rigide, soffriamo.
Quando tornano flessibili, ritroviamo vitalità.

Naranjo sostiene che queste forme non vanno eliminate:
vanno prese per mano e integrate nel movimento attuale dell’organismo.


7. La Gestalt non interpreta: fa emergere


A differenza della psicoanalisi classica, la Gestalt non decodifica, non interpreta, non formula teorie sul cliente.

Lavora con:

  • domande fenomenologiche: “Cosa accade ora?”
  • descrizioni, non spiegazioni
  • espressioni corporee
  • contatto autentico
  • atti, non concetti
  • sperimentazioni, non narrazioni

Il counselor gestaltico non dirige:
accompagna l’esperienza mentre si dispiega.


8. Cosa distingue davvero la Gestalt da altri approcci?


Dal cognitivismo

Il cognitivismo lavora sui pensieri e sulle interpretazioni.
La Gestalt lavora
su ciò che accade prima del pensiero: emozioni, sensazioni, contatto.

Dalla psicoanalisi

La psicoanalisi esplora il passato.
La Gestalt esplora
il passato che si manifesta oggi nel corpo e nella relazione.

Dalla PNL

La PNL cerca la ristrutturazione strategica.
La Gestalt cerca
il radicamento nella verità del momento.
Sono complementari, ma profondamente diversi nel paradigma.

Dal coaching tradizionale

Il coaching lavora su obiettivi.
La Gestalt lavora su
consapevolezza e presenza, perché è da lì che nasce l’azione autentica.


9. Metafora gestaltica: Il Faro e la Nebbia


Immagina di essere avvolto nella nebbia e di voler capire da che parte andare.

Il coaching tradizionale ti dice:
“Definisci la tua destinazione.”

La Gestalt ti dice:
“Prima di decidere la destinazione, guarda
come stai camminando ora.”

Perché se il passo è incerto, se il corpo non sostiene, se lo sguardo evita,
nessuna destinazione sarà raggiungibile.

La Gestalt è il faro che illumina il prossimo metro,
non l’intera strada.


Esempio pratico


Cliente: “Non riesco più a prendere decisioni.”
Il volto è contratto, il torace rigido.

Chiedo: “Cosa accade nel tuo respiro in questo momento?”
Risponde: “È come se trattenessi.”

Sento con lui la tensione.
Non gli chiedo del passato, né dei motivi.

Gli dico: “Rimani qui. Senti questo trattenere.”

Dopo alcuni secondi, si scioglie.
Sospira.
Dice: “Ho paura di sbagliare.”

La verità emergente è semplice, ma potente.
Da qui parte il lavoro vero.


Bibliografia essenziale

Gestalt classica

  • Perls, Goodman, Hefferline – Gestalt Therapy
  • Fritz Perls – Ego, Hunger and Aggression
  • Laura Perls – Interviews and Essays

Gestalt contemporanea

  • Margherita Spagnuolo Lobb – Il Now-for-Next in Psicoterapia
  • Claudio Naranjo – Gestalt Therapy: The Attitude and Practice of an Atheoretical Experientialism
  • Joseph Zinker – Creative Process in Gestalt Therapy
  • James Kepner – Corpo, Sé e Società

Modelli affini e integrativi

  • Otto Scharmer – Theory U
  • Timothy Gallwey – The Inner Game of Work
  • Bandler & Grinder – La Struttura della Magia
  • Watzlawick – La realtà è un’illusione

Conclusione


La Gestalt non è un metodo per cambiare le persone.
È un invito a
ritornare al contatto con la propria esperienza,
a smettere di giudicarla, manipolarla o evitarla,
e finalmente
abitarla.

Da questa consapevolezza nasce un movimento naturale:
più libero, più spontaneo, più vivo.

È il movimento dell’organismo che torna a sé stesso.

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